ZOOM FATIGUE: COME GESTIRE LO STRESS DA SMARTWORKING?

“Riesci a sentirmi bene?” “Aspetta, non ti vedo più”, “Puoi spegnere il microfono e riaccenderlo?” sono solo alcune delle frasi che sono entrate a far parte della quotidianità di chi, negli ultimi mesi, si è ritrovato a lavorare in smartworking.
Ma cosa significa esattamente smart working? Vi è una chiara spiegazione fornita dal Ministero del Lavoro che lo definisce come una modalità di lavoro concordata tra le parti non vincolata da orari o luoghi e che può prevedere l’utilizzo di strumenti tecnologici (Gazzetta ufficiale 22 Maggio 2017).
Utilizzando lo smart working, ogni lavoratore viene maggiormente responsabilizzato sul raggiungimento degli obiettivi, ma ha anche l’opportunità di conciliare i tempi della vita professionale e di quella privata, aumentando la produttività.
Non tutte le aziende hanno però attivato questa modalità per i loro dipendenti, molti infatti hanno sì lavorato da casa ma con orario e postazione fissi. In questo caso bisogna parlare di telelavoro.
In ogni caso, coloro che da un giorno all’altro si sono trasformati in smart workers o tele workers hanno dovuto rimodulare la loro “routine lavorativa”, adattandosi a un ambiente virtuale in cui la sala riunioni diventa una room di Zoom e la pausa caffè un momento in cui posare il cellulare o il pc e godersi un sano momento in relax senza l’utilizzo della tecnologia.
C’è chi ha apprezzato questa nuova modalità, alcune aziende hanno addirittura lasciato ai loro dipendenti la libertà di scegliere di restare smart workers anche a emergenza finita.
Già nel 2019, l’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano ha condotto un’indagine mostrando che i dipendenti smart workers si dichiaravano più soddisfatti del loro lavoro rispetto alla controparte tradizionale (76% rispetto al 55%) e sembravano anche avere un legame più solido con la loro impresa (71% rispetto al 56%).
Questa modalità porta indubbiamente con sè numerosi vantaggi, come l’abbattimento dei costi per le aziende e una maggiore flessibilità per i dipendenti. Nonostante ciò, diversi lavoratori dopo aver passato buona parte della giornata in video call hanno iniziato a lamentare una stanchezza insolita.
Si chiama Zoom Fatigue ed è la nuova sindrome esplosa durante i mesi di quarantena che rischiamo di portarci dietro per i mesi a venire.
Come suggerisce il nome, la Zoom Fatigue è un disturbo legato all’uso (e talvolta abuso) della popolare app di videoconferenze Zoom che durante la quarantena ha permesso a milioni di persone di non interrompere completamente il proprio lavoro e rimanere in contatto con i propri cari.
L’esplosione senza precedenti dell’uso delle video-chat per sopperire all’isolamento forzato che ci è stato imposto in risposta alla pandemia di fatto ha lanciato un esperimento sociale non ufficiale, mostrando a livello globale come le interazioni virtuali possano risultare estremamente complesse da elaborare per il nostro cervello.

Zoom e tutti gli altri programmi dello stesso genere costringono la persona a ripensare completamente il proprio modo di lavorare e di rapportarsi agli altri: l’assenza di contatto fisico è già un fattore che genera di per sé alienazione, oltre a questo alcune persone particolarmente “dipendenti” dai segnali di comunicazione non verbale potrebbero soffrirne particolarmente.

Gianpiero Petriglieri (professore associato di Insead) e Marissa Shuffler (professore associato alla Clemson University) sono solo alcuni degli esperti che hanno provato a dare una spiegazione alla fatica mentale che ci coglie non appena spegniamo la webcam alla fine di una riunione o di un colloquio di lavoro.
Siamo comodamente seduti in casa, possiamo indossare un abbigliamento confortevole e rimanere comodamente in ciabatte eppure, dopo una giornata in smart working, ci sentiamo più stanchi di quanto lo eravamo solitamente dopo aver fatto una giornata “full time” fuori casa. Perché?

Secondo i due esperti, partecipare a una videochiamata richiede più attenzione di una conversazione faccia a faccia poiché dobbiamo compiere uno sforzo maggiore per elaborare segnali non verbali come espressioni facciali, tono della voce e linguaggio del corpo.
Prestando maggiore attenzione a tali aspetti, consumiamo molta energia e ci stanchiamo di più:” Le nostre menti sono insieme mentre i nostri corpi sentono che non lo siamo. Questa dissonanza, che provoca sentimenti contrastanti, è estenuante. Non puoi rilassarti naturalmente nella conversazione”. Spiega Petriglieri.

Per chiarire bene cosa ci porta a “stancarci di più” è bene prendere in considerazione i 3 livelli che caratterizzano la comunicazione e che interagiscono tra loro per far si che la comunicazione risulti efficiente e di facile comprensione: il livello verbale, non verbale e paraverbale. Il primo si riferisce alle parole utilizzate dall’interlocutore, il secondo al linguaggio del corpo (postura, gestualità, espressioni del viso) e l’ultimo al tono/ritmo/volume/timbro della voce.
La teoria dei cues filtered out aveva già dimostrato come nella comunicazione digitale fosse molto più difficile catturare i comportamenti non-verbali e paraverbali dell’interlocutore poiché essi sono assenti o comunque distorti; basti pensare all’impossibilità di mantenere “il contatto visivo” o alla difficoltà di capire quando possiamo intervenire nella conversazione durante le videoconferenze.
Aggiungiamoci poi le connettività non buone, che compromettono la qualità della trasmissione video generando buffering, rumore video e freeze che rendono difficile la percezione del messaggio e di conseguenza anche la risposta.

L’utilizzo della Gallery view (la galleria con l’immagine di tutti i presenti) affatica la visione centrale del cervello costringendolo a un surplus di lavoro per identificare e posizionare correttamente i partecipanti nello spazio, con il risultato di rendere ancora più difficile la concentrazione su chi sta parlando. Difficoltà aumentata anche per l’oratore: non poter abbracciare con lo sguardo la platea implica maggiore difficoltà di coinvolgimento e quasi totale assenza di feedback da parte degli ascoltatori.

Secondo Petriglieri, altra difficoltà incontrata durante le video-chat riguarda la gestione dei silenzi: “Il silenzio crea un ritmo naturale in una conversazione nella vita reale. Tuttavia, quando si verifica in una videochiamata, sei preoccupato per la tecnologia”.
Il silenzio è un elemento molto importante nella comunicazione: esso può assumere i più disparati significati e incidere pesantemente sull’esito della conversazione. Quando il silenzio avviene via video, il timore che sia la conseguenza di un problema tecnico sorge quasi automaticamente e questo ci porta ad essere in costante allerta.
Alcuni programmi permettono di scegliere se tenere videocamera e microfono accesi, spesso però questo è obbligatorio. Sapendo di essere costantemente sotto gli occhi di tutti diventa difficile non controllare come ci comportiamo e come appariamo dalla nostra schermata, non concedendoci un attimo di scompostezza per paura che gli altri lo possano notare. È un po’ come stare su un palcoscenico e anche inconsapevolmente arriva la pressione sociale:
“È anche molto difficile per le persone non guardare il proprio viso se possono vederlo sullo schermo o non essere consapevoli di come si comportano davanti alla telecamera” spiega Petriglieri.

Come mitigare gli effetti della Zoom Fatigue?

Ora il lockdown è finito e nonostante per alcuni il periodo passato in smart working sia ormai già un lontano ricordo, per molti il ritorno alla normalità lavorativa è ancora lontano (pensiamo agli insegnanti, ad esempio).
Lo smartworking è ancora e sarà per qualche tempo (in alcuni casi per sempre) un nostro compagno di viaggio.
La Zoom Fatigue, se non si è ancora manifestata, potrebbe coglierci di sorpresa e trovarci impreparati: come rimediare?
Potrebbe essere utile mettere in pratica qualche piccolo accorgimento:

  • Accendere la videocamera solo se necessario.
  • Spostare lo schermo leggermente di lato per ridurre la sensazione di essere on the spot.
  • Fare delle piccole pause tra una videochiamata e l’altra, specialmente se esse sono di diversa natura (es. videoconferenza con datore di lavoro, videochiamata con cliente) in modo da permettere la transizione da un ruolo all’altro.
  • Evitare il multitasking. Se state partecipando a una riunione di lavoro resistete il più possibile alla tentazione di aprire le e-mail o di controllare i social.
  • Se possibile, cambiare set tra videochiamate di lavoro e videochiamate “di svago” che effettuate con amici o parenti. L’ambiente gioca un ruolo importante nella nostra percezione degli eventi; separare anche fisicamente il luogo in cui si lavora e quello in cui ci si rilassa aiuta notevolmente a ridurre la sensazione di dover essere sempre online.

In conclusione, è importante usufruire dei vantaggi che questa nuova modalità di lavorare e relazionarci con l’altro comporta, ma è bene non abusarne.
Quando non è estremamente necessario, concedetevi qualche momento lontani da smartphone e pc e “staccate la spina” per un po’!