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La psicoterapia online è davvero efficace?

L’emergenza sanitaria e il bisogno di psicoterapia online

È bene sapere che, rispetto ai vari Dpcm che si susseguono in questi giorni, gli interventi psicologici devono esser considerati sanitari, quindi non soggetti a restrizioni. 

In ragione dell’emergenza sanitaria relativa al Covid-19, tuttavia, l’Ordine degli Psicologi ha consigliato ai professionisti di passare alla modalità di intervento a distanza quando applicabile e possibile, valutando caso per caso le esigenze dell’utenza. Da un lato infatti la psicoterapia, essendo un’attività sanitaria, non può essere sospesa; dall’altro deve tenere conto della necessità di tutelare il terapeuta e il paziente dal rischio di contagio. Tutto questo è stato facilitato dall’enorme progresso tecnologico avvenuto negli ultimi anni che ha aiutato ad aumentare e migliorare continuamente le modalità in cui possono essere offerte delle prestazioni sanitarie online e tra queste è da prendere in considerazione anche la psicoterapia.

Cos’è esattamente la psicoterapia online?

La psicoterapia online fa parte del più ampio settore della telemedicina

Per telemedicina s’intende l’incontro di tecniche mediche e informatiche con il fine di permettere la cura di un paziente a distanza o, più in generale, di fornire servizi sanitari online. Oggi si tratta di una pratica molto comune e costituisce una valida alternativa alla psicoterapia tradizionale. La psicoterapia online spesso consente di abbattere quelle barriere che si pongono in alcuni casi; per esempio quando un utente non ha la possibilità fisica o logistica di muoversi da casa o quando desidera essere seguito da un professionista che abita a km di distanza dalla propria residenza. 

Come funziona la psicoterapia online?

La psicoterapia online segue le stesse regole della terapia tradizionale, con la differenza che la relazione terapeutica si compie attraverso un collegamento internet, veicolata da pc, tablet o smartphone e vengono utilizzate piattaforme di comunicazione come Skype, Whatsapp, Zoom, Blue Jeans, Hangouts, e cosi via. 

Ci si incontra virtualmente il giorno prefissato all’ora concordata, esattamente come avverrebbe nello studio, e attraverso il canale video avviene il colloquio in totale sicurezza e unicità della relazione.

Quali accorgimenti è necessario mettere in atto per usufruire correttamente del servizio di psicoterapia online?

 

È bene che questa modalità terapeutica preveda alcuni accorgimenti che devono esser messi in atto sia da parte del terapeuta che da parte del paziente, per preservare un setting adeguato e non cadere in alcuni dei potenziali rischi che rischierebbero di compromettere la seduta. 

  • Utilizza sempre una stanza privata dove senti di avere un’adeguata privacy: se non sei solo in casa chiedi a chi è con te di non esser disturbato. È bene avere la disponibilità di un luogo tranquillo e riservato;
  • Verifica in anticipo di possedere una buona connessione wifi: Non avere un’adeguata connessione Wi-Fi potrebbe non garantire una fluidità della conversazione e compromettere la qualità della relazione;
  • Assicurarti che audio e video siano su sufficientemente buoni: se lo ritieni necessario utilizza un auricolare per facilitare l’ascolto;

  • Se utilizzi un PC portatile o un dispositivo mobile assicurati di averlo collegato all’alimentatore per evitare un’improvvisa interruzione della conversazione qualora i dispositivi che stai utilizzando si scarichino.

Quali sono i vantaggi della psicoterapia online? 

Sicuramente l’utilizzo del canale online per effettuare un percorso di psicoterapia offre numerosi vantaggi: 

  • aumenta l’accessibilità: annulla le distanze geografiche, come chi vive in luoghi difficilmente raggiungibili, isolati o in cui vi è una ristretta scelta di servizi, oltre che consentire l’utilizzo anche a persone con mobilità limitata che hanno un notevole bisogno di terapia e supporto ma che si trovano costrette a rinunciare a causa dell’impossibilità di raggiungere lo studio;
  • supera le restrizioni temporali: consente orari comodi e flessibili, venendo incontro ad ogni esigenza, come per esempio chi lavora e ha una limitata disponibilità;
  • mantiene la continuità in una relazione terapeutica: aiuta ad affrontare cambiamenti nello stile di vita e/o forti limitazioni (ad esempio l’isolamento imposto dalla pandemia Covid-19, oppure chi è costretto a viaggiare o a trasferirsi all’estero), garantendo il supporto terapeutico a distanza;
  • permette di superare i pregiudizi: la resistenza legata alla vergogna di chiedere sostegno psicologico spesso blocca la richiesta di aiuto, mentre l’online permette di superare la paura di essere stigmatizzati;
  • consente di scegliere in tutta libertà il proprio terapeuta di fiducia: sul web è possibile scegliere lo specialista e il metodo più adatto di supporto psicologico, senza vincoli quali la distanza e il tempo necessario per recarsi nello studio del professionista;
  • consente di rivedere la seduta: è possibile registrare l’incontro con il terapeuta e riascoltarlo per elaborare ulteriormente i contenuti;
  • è vicina ai giovani: l’online è il canale che più si avvicina ai giovani ragazzi (maggiorenni) che hanno bisogno di intraprendere un percorso psicoterapeutico ma faticano a rivolgersi presso i servizi psicologici di competenza e, a volte, finiscono per rinunciare a chiedere aiuto.

Quanto è efficace la psicoterapia online?

Numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato come l’efficacia della psicoterapia online sia paragonabile a quella tradizionale.

L’American Psychological Association (APA), che elabora le linee guida internazionali della psicopatologia, ha studiato il fenomeno della psicoterapia online traendone risultati incoraggianti e di fattiva efficacia.

 Si rilevano infatti grandi miglioramenti nei soggetti che hanno partecipato a diversi interventi psicologici online, con una gamma di disturbi clinici che includono disturbi di panico (Klein & Richards, 2001), disturbi alimentari (Robinson & Serfaty, 2001), disturbi post-traumatici da stress e in casi di lutto (Lange, van de Ven, Schrieken, & Emmelkamp, 2001).

Studi sulla differenza di trattamento tra la terapia online e quella dal vivo face-to-face sono stati effettuati anche dal Dipartimento di Medicina Psicosomatica e Psicoterapia di Leipzig in Germania (Wagner, Horn). Di 62 soggetti diagnosticati con depressione maggiore, 32 sono stati assegnati alla terapia psicologica online e 30 a quella vis-a-vis. Dopo 8 settimane i sintomi sono migliorati rispetto all’inizio del trattamento e non c’erano differenze rispetto all’una o l’altra modalità di fornire la prestazione sanitaria. In modo sorprendete però al follow-up dopo 3 mesi dalla conclusione della terapia i risultati ottenuti dal trattamento online rimanevano stabili, mentre quelli del trattamento face-to-face avevano visto un peggioramento dei sintomi depressivi. Questo studio ci permette di ipotizzare come la psicoterapia online, oltre ad essere efficace come quella tradizionale, potrebbe avere effetti a lungo termine superiori.

Come intraprendere una psicoterapia online?

Se sei arrivato a questo punto dell’articolo, complimenti, hai già fatto il primo passo! 

Possono essere molteplici i motivi che ti spingono a richiedere un aiuto psicologico: ansia, stress, problemi relazionali. In alcuni casi potresti avere sensazioni confuse e contrastanti riguardo alle tue difficoltà. Forse non sai ancora “dargli un nome”. Ma prendendo coscienza del fatto che “c’è qualcosa che non va” hai già intrapreso il percorso che ti consentirà di superare questo malessere. 

Adesso possiamo procedere insieme. Contattami QUI e ti risponderò in tempi brevi. 

Accoglierò la tua richiesta d’aiuto, risponderò alle tue domande e valuteremo insieme qual è il miglior percorso da intraprendere per ritrovare il benessere che percepisci come temporaneamente perduto.

 

Bibliografia:

 

Moscarella A. (2017) Counseling e psicoterapia online: le nuove linee guida. 

https://www.lostudiodellopsicologo.it/psicologia/psicoterapia-online-efficace/

https://www.paginemediche.it/benessere/salute-digitale/psicoterapia-online-come-funziona

https://www.erickson.it/it/mondo-erickson/articoli/come-cambia-psicoterapia-tempi-coronavirus/

“Riesci a sentirmi bene?” “Aspetta, non ti vedo più”, “Puoi spegnere il microfono e riaccenderlo?” sono solo alcune delle frasi che sono entrate a far parte della quotidianità di chi, negli ultimi mesi, si è ritrovato a lavorare in smartworking.
Ma cosa significa esattamente smart working? Vi è una chiara spiegazione fornita dal Ministero del Lavoro che lo definisce come una modalità di lavoro concordata tra le parti non vincolata da orari o luoghi e che può prevedere l’utilizzo di strumenti tecnologici (Gazzetta ufficiale 22 Maggio 2017).
Utilizzando lo smart working, ogni lavoratore viene maggiormente responsabilizzato sul raggiungimento degli obiettivi, ma ha anche l’opportunità di conciliare i tempi della vita professionale e di quella privata, aumentando la produttività.
Non tutte le aziende hanno però attivato questa modalità per i loro dipendenti, molti infatti hanno sì lavorato da casa ma con orario e postazione fissi. In questo caso bisogna parlare di telelavoro.
In ogni caso, coloro che da un giorno all’altro si sono trasformati in smart workers o tele workers hanno dovuto rimodulare la loro “routine lavorativa”, adattandosi a un ambiente virtuale in cui la sala riunioni diventa una room di Zoom e la pausa caffè un momento in cui posare il cellulare o il pc e godersi un sano momento in relax senza l’utilizzo della tecnologia.
C’è chi ha apprezzato questa nuova modalità, alcune aziende hanno addirittura lasciato ai loro dipendenti la libertà di scegliere di restare smart workers anche a emergenza finita.
Già nel 2019, l’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano ha condotto un’indagine mostrando che i dipendenti smart workers si dichiaravano più soddisfatti del loro lavoro rispetto alla controparte tradizionale (76% rispetto al 55%) e sembravano anche avere un legame più solido con la loro impresa (71% rispetto al 56%).
Questa modalità porta indubbiamente con sè numerosi vantaggi, come l’abbattimento dei costi per le aziende e una maggiore flessibilità per i dipendenti. Nonostante ciò, diversi lavoratori dopo aver passato buona parte della giornata in video call hanno iniziato a lamentare una stanchezza insolita.
Si chiama Zoom Fatigue ed è la nuova sindrome esplosa durante i mesi di quarantena che rischiamo di portarci dietro per i mesi a venire.
Come suggerisce il nome, la Zoom Fatigue è un disturbo legato all’uso (e talvolta abuso) della popolare app di videoconferenze Zoom che durante la quarantena ha permesso a milioni di persone di non interrompere completamente il proprio lavoro e rimanere in contatto con i propri cari.
L’esplosione senza precedenti dell’uso delle video-chat per sopperire all’isolamento forzato che ci è stato imposto in risposta alla pandemia di fatto ha lanciato un esperimento sociale non ufficiale, mostrando a livello globale come le interazioni virtuali possano risultare estremamente complesse da elaborare per il nostro cervello.

Zoom e tutti gli altri programmi dello stesso genere costringono la persona a ripensare completamente il proprio modo di lavorare e di rapportarsi agli altri: l’assenza di contatto fisico è già un fattore che genera di per sé alienazione, oltre a questo alcune persone particolarmente “dipendenti” dai segnali di comunicazione non verbale potrebbero soffrirne particolarmente.

Gianpiero Petriglieri (professore associato di Insead) e Marissa Shuffler (professore associato alla Clemson University) sono solo alcuni degli esperti che hanno provato a dare una spiegazione alla fatica mentale che ci coglie non appena spegniamo la webcam alla fine di una riunione o di un colloquio di lavoro.
Siamo comodamente seduti in casa, possiamo indossare un abbigliamento confortevole e rimanere comodamente in ciabatte eppure, dopo una giornata in smart working, ci sentiamo più stanchi di quanto lo eravamo solitamente dopo aver fatto una giornata “full time” fuori casa. Perché?

Secondo i due esperti, partecipare a una videochiamata richiede più attenzione di una conversazione faccia a faccia poiché dobbiamo compiere uno sforzo maggiore per elaborare segnali non verbali come espressioni facciali, tono della voce e linguaggio del corpo.
Prestando maggiore attenzione a tali aspetti, consumiamo molta energia e ci stanchiamo di più:” Le nostre menti sono insieme mentre i nostri corpi sentono che non lo siamo. Questa dissonanza, che provoca sentimenti contrastanti, è estenuante. Non puoi rilassarti naturalmente nella conversazione”. Spiega Petriglieri.

Per chiarire bene cosa ci porta a “stancarci di più” è bene prendere in considerazione i 3 livelli che caratterizzano la comunicazione e che interagiscono tra loro per far si che la comunicazione risulti efficiente e di facile comprensione: il livello verbale, non verbale e paraverbale. Il primo si riferisce alle parole utilizzate dall’interlocutore, il secondo al linguaggio del corpo (postura, gestualità, espressioni del viso) e l’ultimo al tono/ritmo/volume/timbro della voce.
La teoria dei cues filtered out aveva già dimostrato come nella comunicazione digitale fosse molto più difficile catturare i comportamenti non-verbali e paraverbali dell’interlocutore poiché essi sono assenti o comunque distorti; basti pensare all’impossibilità di mantenere “il contatto visivo” o alla difficoltà di capire quando possiamo intervenire nella conversazione durante le videoconferenze.
Aggiungiamoci poi le connettività non buone, che compromettono la qualità della trasmissione video generando buffering, rumore video e freeze che rendono difficile la percezione del messaggio e di conseguenza anche la risposta.

L’utilizzo della Gallery view (la galleria con l’immagine di tutti i presenti) affatica la visione centrale del cervello costringendolo a un surplus di lavoro per identificare e posizionare correttamente i partecipanti nello spazio, con il risultato di rendere ancora più difficile la concentrazione su chi sta parlando. Difficoltà aumentata anche per l’oratore: non poter abbracciare con lo sguardo la platea implica maggiore difficoltà di coinvolgimento e quasi totale assenza di feedback da parte degli ascoltatori.

Secondo Petriglieri, altra difficoltà incontrata durante le video-chat riguarda la gestione dei silenzi: “Il silenzio crea un ritmo naturale in una conversazione nella vita reale. Tuttavia, quando si verifica in una videochiamata, sei preoccupato per la tecnologia”.
Il silenzio è un elemento molto importante nella comunicazione: esso può assumere i più disparati significati e incidere pesantemente sull’esito della conversazione. Quando il silenzio avviene via video, il timore che sia la conseguenza di un problema tecnico sorge quasi automaticamente e questo ci porta ad essere in costante allerta.
Alcuni programmi permettono di scegliere se tenere videocamera e microfono accesi, spesso però questo è obbligatorio. Sapendo di essere costantemente sotto gli occhi di tutti diventa difficile non controllare come ci comportiamo e come appariamo dalla nostra schermata, non concedendoci un attimo di scompostezza per paura che gli altri lo possano notare. È un po’ come stare su un palcoscenico e anche inconsapevolmente arriva la pressione sociale:
“È anche molto difficile per le persone non guardare il proprio viso se possono vederlo sullo schermo o non essere consapevoli di come si comportano davanti alla telecamera” spiega Petriglieri.

Come mitigare gli effetti della Zoom Fatigue?

Ora il lockdown è finito e nonostante per alcuni il periodo passato in smart working sia ormai già un lontano ricordo, per molti il ritorno alla normalità lavorativa è ancora lontano (pensiamo agli insegnanti, ad esempio).
Lo smartworking è ancora e sarà per qualche tempo (in alcuni casi per sempre) un nostro compagno di viaggio.
La Zoom Fatigue, se non si è ancora manifestata, potrebbe coglierci di sorpresa e trovarci impreparati: come rimediare?
Potrebbe essere utile mettere in pratica qualche piccolo accorgimento:

  • Accendere la videocamera solo se necessario.
  • Spostare lo schermo leggermente di lato per ridurre la sensazione di essere on the spot.
  • Fare delle piccole pause tra una videochiamata e l’altra, specialmente se esse sono di diversa natura (es. videoconferenza con datore di lavoro, videochiamata con cliente) in modo da permettere la transizione da un ruolo all’altro.
  • Evitare il multitasking. Se state partecipando a una riunione di lavoro resistete il più possibile alla tentazione di aprire le e-mail o di controllare i social.
  • Se possibile, cambiare set tra videochiamate di lavoro e videochiamate “di svago” che effettuate con amici o parenti. L’ambiente gioca un ruolo importante nella nostra percezione degli eventi; separare anche fisicamente il luogo in cui si lavora e quello in cui ci si rilassa aiuta notevolmente a ridurre la sensazione di dover essere sempre online.

In conclusione, è importante usufruire dei vantaggi che questa nuova modalità di lavorare e relazionarci con l’altro comporta, ma è bene non abusarne.
Quando non è estremamente necessario, concedetevi qualche momento lontani da smartphone e pc e “staccate la spina” per un po’!

Si definisce precrastinazione la tendenza a completare un’attività il prima possibile, anche a costo di uno sforzo fisico supplementare.
La tendenza a “precrastinare” è stata rilevata da un team di studiosi della Pennsylvania State University, grazie a una ricerca coordinata dal dottor David Rosenbaum, docente di psicologia presso l’ateneo americano.

La procrastinazione: i fattori che inducono a procrastinare

Quante volte avete rimandato una decisione, un’azione che potevate fare oggi? Questo comportamento assume il nome di procrastinazione e consiste nel rimandare nel tempo quello che sarebbe auspicabile portare a termine oggi.

In realtà ci sono molte ragioni che portano a procrastinare, una di queste è che la maggior parte delle persone preferisce rimandare un compito sgradevole, difficile, o noioso, alleviando l’ansia che porta con sé prendere una decisione nel presente. A volte la procrastinazione può essere collegata ad un multitasking che non ha funzionato correttamente: nelle situazioni di tutti i giorni spesso ci ritroviamo, senza accorgercene, a fare più cose contemporaneamente, gestendo una grande quantità di richieste e stimoli provenienti dal mondo esterno ma, cosi facendo, i troppi impegni potrebbero portare a non riuscire a rispettare tutte le scadenze concordate.

La maggior parte delle volte, quando si tende a procrastinare per una di queste ovvie ragioni, si è consapevoli di ciò che c’è dietro al ritardo. Tuttavia, le persone tendono a procrastinare anche in situazioni in cui ci sono ragioni poco evidenti.
Più nello specifico, le motivazioni profonde che portano allo sviluppo di un atteggiamento di procrastinazione, possono essere:
– a paura di fallire e di sbagliare (e di doverne affrontare le conseguenze), la paura di scegliere e di decidere (non prendendo in considerazione che anche “rimandare” è una scelta)
– l’intolleranza allo stress, all’ansia e alla frustrazione (di non saperli gestire o non sapere aspettare)
– il perfezionismo (non essere mai abbastanza pronti e sicuri per gli standard elevati che ci si pone).

Un’altra ragione che ci porta a procrastinare è la compiacenza; a volte tendiamo a dire troppi “si” e ad essere in ritardo nel rispettare tutte le scadenze e le promesse fatte!

Gli psicologi dell’università di Liverpool, Minna Lione e Holly Rice, hanno suggerito che le persone che hanno un punteggio alto alla procrastinazione “evitante” (cioè coloro che evitano di iniziare un compito) con annessa diagnosi di disturbo mentale, posticipano le cose da fare per evitare di ricevere un feedback negativo riguardo le loro prestazioni.

Nonostante le conseguenze negative, la procrastinazione ha certamente un “vantaggio secondario” (difende da emozioni spiacevoli, implica rimandare una decisione nell’immediato consegnando un benessere illusorio) che cristallizza il comportamento e rende difficile cambiare.

La precrastinazione: che cos’è

In ambito psicologico sono stati condotti diversi studi su come le persone utilizzano il loro tempo e a tal riguardo è stato introdotto un neologismo contrapposto alla procrastinazione: la “precrastinazione”.

Si definisce precrastinazione la tendenza a completare un’attività il prima possibile, anche a costo di uno sforzo fisico supplementare.
La tendenza a “precrastinare” è stata rilevata da un team di studiosi della Pennsylvania State University, grazie a una ricerca coordinata dal dottor David Rosenbaum, docente di psicologia presso l’ateneo americano.

Gli autori dello studio (David Rosenbaum, Lanyun Gong, and Cory Adam Pott) si sono imbattuti in una scoperta fortuita mentre indagavano il modo in cui le persone tendevano a camminare e a raggiungere traguardi.
Essi hanno ideato una serie di esperimenti cui sottoporre un gruppo di studenti universitari, i quali erano invitati a fare la cosa che ritenevano più semplice tra due opzioni: spostare un secchio pesante per una breve distanza o un secchio leggero per una lunga distanza, fino ad arrivare ad un punto finale specificato.
I risultati ai vari test realizzati dai ricercatori sono stati sorprendenti poiché, sebbene tutti si aspettassero che i partecipanti preferissero portare il secchio più pesante per la distanza più breve possibile, la maggior parte ha scelto di prendere il secchio che era più vicino, ma più lontano dal punto finale.
I soggetti hanno dimostrato di preferire opzioni che, sebbene comportassero una maggior fatica fisica, diminuissero il tempo di esecuzione dei lavori da compiere, così da ridurre lo stress dovuto al prolungarsi dell’azione.
In altre parole, secondo Rosenbaum e il suo team, hanno “PRECRASTINATO”.

Come hanno spiegato i partecipanti, tutti hanno pensato che sarebbe stato più facile trasportare il secchio per una lunga distanza: quasi tutti gli studenti hanno ritenuto che, sollevando il secchio che era loro più vicino e a portata di mano, sarebbero stati maggiormente in grado di realizzare l’obiettivo di portare il secchio a destinazione.

Manipolando una variabile dell’esperimento, i partecipanti sono stati invitati a trasportare dei pesanti secchi colmi d’acqua da un posto all’altro, con la possibilità di portarne uno solo per volta oppure due. Ebbene, la maggior parte degli studenti preferiva trasportare il doppio secchio, scelta che comportava un notevole sforzo fisico, con il vantaggio di rendere il lavoro più rapido.
Quando agli studenti è stato chiesto come mai avessero optato per il compito più faticoso, questi ultimi risposero sistematicamente che il loro desiderio era quello di terminare il lavoro il prima possibile.
Una spiegazione, secondo Rosenbaum e i colleghi, potrebbe essere che le persone, quando effettuano una scelta, preferiscono effettuare uno sforzo fisico piuttosto che uno sforzo mentale.

Come commenta il dottor Rosenbaum

I risultati della nostra ricerca suggeriscono che il desiderio di alleviare lo sforzo di mantenere le informazioni nella memoria di lavoro può indurci a compiere eccessivi sforzi fisici oppure ad assumere maggiori rischi.

Sollevando il secchio, i partecipanti non hanno dovuto più ricordare a lungo ciò che avrebbero dovuto fare perché il secchio era già nelle loro mani. La situazione è simile a ciò che accade solitamente quando al mattino ci si organizza per uscire di casa. Per essere sicuri di ricordare di prendere le chiavi, mentalmente è meno stressante portarle fin da subito in una o più stanze della casa, piuttosto che aspettare di chiudere la porta di casa e, una volta fuori, scoprire che le chiavi sono al suo interno! Una volta che sono in mano, si può essere sicuri di non dimenticarle.

Il rapporto tra precrastinazione e memoria di lavoro

Nel discutere lo studio, Pychyl ha analizzato anche l’ipotetico collegamento tra la memoria di lavoro e la precrastinazione. Lo studioso ritiene che le persone tendono a precrastinare durante l’esperimento del secchio perché non si preoccupano più di tanto su di esso. Se venisse dato loro un compito più importante, come ad esempio iniziare a pianificare i loro obiettivi di vita importanti, Pychyl suppone che i risultati sarebbero molto diversi.

Ci si è chiesti inoltre se ci siano altre spiegazioni che possano portare le persone a precrastinare.
Noi tutti conosciamo persone che tendono costantemente a pianificare il futuro: una settimana prima di partire per un viaggio iniziano le valigie, acquistano a luglio i regali per le festività invernali, pagano le bollette in anticipo e non sono in ritardo in nessuna occasione.
Joseph Ferraro e Timothy Pychyl, appartenenti rispettivamente alla DePaul University e alla Carleton University, hanno esaminato la relazione tra la procrastinazione accademica (la tendenza a lasciar lavorare più gli altri nei gruppi di lavoro) e la coscienziosità. I risultati hanno mostrato che le persone con elevata coscienziosità hanno meno probabilità di lasciare che gli altri si assumano anche i loro carichi e altresì di procrastinare. Queste sono le persone, ci si potrebbe aspettare, che tenderanno a PRECRASTINARE, dedicandosi alla pianificazione estesa del futuro in modo che possano essere certi di svolgere il loro lavoro in modo responsabile.

Le caratteristiche dei precrastinatori

Precrastinatori sembrano avere le seguenti caratteristiche:
– Preferiscono fare qualcosa di spiacevole pur di farlo e di togliersela di mezzo;
– Pianificano in anticipo, anche eventi che accadranno in un futuro molto lontano;
– Cercano di ridurre il carico mentale agendo nel presente in modo da non dimenticare ciò che devono fare;
– Danno il loro contributo nei compiti in comune, piuttosto che lasciar fare a qualcun altro la propria parte;
– Sono onesti con gli altri;
– Si assumono le responsabilità per le proprie azioni;
– Evitano di agire impulsivamente.

Soffermandoci sugli aspetti positivi e negativi della precrastinazione, si pensa che oltre ai numerosi svantaggi emersi riguardo questa modalità di affrontare gli impegni, ci possa essere anche qualche vantaggio in termini di promozione della salute in generale.
Pianificare adeguatamente le azioni future permette di fare tutto ciò che è necessario, rispettando impegni e scadenze. Finché ci si può fermare e godere dei frutti del lavoro svolto, prima di affrontare il lavoro successivo, è possibile che i benefici della precrastinazione siano percepiti come superiori ai rischi.

Tuttavia, lo svantaggio di chi precrastina è che tende a godere meno degli avvenimenti che accadono nel presente.
Il pensiero incessante rivolto a ciò che è necessario fare nel futuro può rendere la persona meno in grado di vivere appieno gli avvenimenti del presente poiché la mente è costantemente spostata al futuro e non riesce a cogliere gli aspetti positivi del momento.
In sintesi, precrastinare significa fare cose prima di quanto sia realmente necessario, anche se ciò comporta un maggior dispendio di tempo ed energia, semplicemente per la sensazione di averle portate a termine e aver fatto il proprio dovere.
Il pericolo principale della precrastinazione però, a differenza della procrastinazione, è che non viene percepita come un pericolo, bensì come una forma di organizzazione funzionale che aiuta a gestire nel miglior modo tutti gli obiettivi da raggiungere.

L’avvento dei Social Network ha creato effetti concreti sul modo di sentire e di pensare degli utenti, che finiscono per modificare le loro pratiche di interazione sociale usuali. La facile accessibilità dei new media, però, potrebbe trasformarli in strumenti potenzialmente pericolosi per le illusioni che sono capaci di generare.

Ma tu non sei su Facebook? Ci sono tutti!” Chi di noi non ha mai detto, o almeno sentito dire, da un amico, un parente o un collega questa frase! Ormai i social network sono entrati a far parte, in maniera più o meno diretta, della vita di ognuno di noi. Dallo studente universitario che li usa per rimanere in contatto con i propri compagni, al manager sempre alla ricerca di nuove tendenze, all’azienda che vuole migliorare i rapporti con i propri clienti/fornitori e vuole farsi pubblicità: tutti sono iscritti su qualche social network.

È infatti innegabile che la tecnologia abbia cambiato le nostre vite e le nostre abitudini e la rivoluzione provocata dai social network non può essere ignorata poiché si estende a macchia d’olio ed ha un potenziale interno molto ampio. (Riva, 2010).

L’utilizzo dei social network e delle nuove tecnologie inducono difatti molti cambiamenti: cambia il rapporto con se stessi e soprattutto con gli altri, che diventa più diretto ma molto più mediato. Le nuove tecnologie ci promettono di incontrare molte persone ma tendono a togliere il sapore, la genuinità, l’originalità e la freschezza alla relazione interpersonale vera e propria. Cambia, inoltre, il modo di concepire la quotidianità. È difficile pensare alle nostre giornate senza aprire il computer o usare il cellulare; la nostra esperienza quotidiana subisce dei pesanti condizionamenti poichè può cambiare il modo di partecipare alla vita di società. Le nuove tecnologie inoltre ci danno maggiori possibilità di partecipare alla vita sociale condividendo anche luoghi virtuali, ma non è detto che questa partecipazione sia poi effettiva. (Riva, 2010).

Ma capiamo meglio cosa sono i social network… I social network sono diventati un fenomeno globale e negli ultimi 10 anni si è visto un aumento esponenziale del loro uso: Facebook, Instagram, Twitter, Linkedin, sono solo alcune delle piattaforme social che dal loro avvento ad oggi hanno conquistato in maniera esponenziale il Web. Tutte le applicazioni di social network si basano sulla costruzione, manutenzione, gestione e visibilità di profili e di pagine Web personali.

Un profilo ricco di informazioni e dinamico, una lista di contatti e un numero elevato di relazioni interpersonali instaurato con amici e conoscenti, sono gli elementi che fanno dei nuovi media sociali e delle applicazioni di social networking qualcosa di diverso rispetto alle chat, ai blog e ai forum che hanno caratterizzato il Web 1.0. (Massarotto, 2011).

Le applicazioni di social networking permettono di coltivare relazioni amicali e di allargare le proprie reti sociali coinvolgendo persone mai incontrate e senza bisogno di un incontro precedente dal vivo e faccia a faccia. Come piattaforma tecnologica con le sue funzionalità, applicazioni e risorse, il social network facilita le interazioni e lo sviluppo di connessioni e relazioni attraverso l’utilizzo di contenuti diversi (testuali, video, audio, fotografici), la condivisione sociale su piattaforme e dispositivi eterogenei (PC, smartphone e tablet), il coinvolgimento attivo dei membri della rete e la rapidità con cui si può conversare e disseminare informazioni. (Boyd, 2008).

Si potrebbe affermare che questi nuovi strumenti tecnologici abbiano semplicemente amplificato ciò che, con altri mezzi, gli umani sanno fare da sempre, eliminando le barriere temporali e spaziali e offrendoci nuove opportunità di elaborare nuovi pensieri, di produrre nuovi contenuti e di riflettere su noi stessi. Nel fare questo i nuovi media hanno reso obsoleti gli strumenti e modi di comunicare precedenti come l’incontro di persona e le altre forme di interazione tradizionali. (Riva, 2010).

L’aspetto da considerare però è come l’avvento di queste comunità online abbia creato effetti concreti sul modo di sentire e di pensare degli utenti, che finiscono per modificare le loro pratiche di interazione sociale usuali. Alla corporeità dell’incontro faccia a faccia si sostituisce la virtualità del profilo da cui si elimina il corpo ma soprattutto i suoi significati.

La trasparenza dei nuovi media, ossia la loro facile accessibilità, li trasforma in strumenti potenzialmente pericolosi per le promesse di cui si fanno portatori e le illusioni che sono capaci di generare. (Mazzucchelli, 2014). I nuovi media infatti danno la sensazione di essere sociali per definizione e come tali capaci di incidere sulla solitudine sociale per chi ne soffre ma, a lungo termine, si è visto come non sempre si producano conseguenze del tutto positive.

Una delle prime indagini condotta sui social network e che ha coinvolto un numero elevato di individui è stata eseguita dall’ Australian Psychological Society. Sono state intervistate 2.3 milioni di persone prendendo un campione composto sia da membri coinvolti nell’utilizzo di socia network sia da persone senza alcuna presenza on-line. L’indagine, condotta nel 2010, ha evidenziato quanto segue:

  • Il social network interessa persone di tutte le età (97% degli intervistati)
  • Il 70% degli intervistati spende meno di due ore al giorno on-line
  • Il 28% ha avuto almeno un’esperienza negativa
  • Il 52% afferma che i social network hanno aumentato la possibilità di contatto e interazione con amici e parenti
  • Il 26% ha visto aumentare la sua partecipazione come risultato di una maggiore socialità
  • Il 25% tra i 31-50 anni ha incontrato l’anima gemella o un nuovo partner on-line
  • Il 21% (del 25 %) degli incontri ha dato origine a relazioni intime nella vita reale.

Dati interessanti sono emersi anche dall’analisi della frequenza prolungata dei siti di social network. Il 77% degli intervistati ha indicato di accedere a un social network giornalmente, il 51% più volte al giorno e il 26% una volta al giorno. L’accesso più frequente, 59%, è fatto da persone giovani, a seguire, 36%, dalle persone più adulte (32-50 anni) e da quelle anziane, 23%. (APS, 2010).

Un’ulteriore ricerca (Ferguson e Perse, 2000; Leung, 2001) ha messo in evidenza anche quali siano le motivazioni che spingono all’uso del social network, identificandone principalmente 5:

  • Inclusione sociale, cioè il bisogno di appartenere ad un gruppo.
  • Mantenimento di relazioni, la comunicazione on-line permette di rimanere sempre in contatto con i propri amici anche con quelli non raggiungibili perché lontani.
  • Incontro di nuove persone
  • Compensazione sociale, cioè la tendenza a compensare problemi comunicativi presenti nella comunicazione faccia a faccia con la socializzazione on-line
  • Divertimento

Rivoltella (2006) ha evidenziato pressoché le stesse motivazioni evidenziate dalle ricerche internazionali precedentemente citate anche nel contesto italiano.
Recenti studi hanno fatto emergere anche un altro dato significativo. Mentre le persone estroverse sembrano utilizzare i siti di social network per migliorare ulteriormente la loro posizione sociale, gli introversi sembrano utilizzare questo mezzo di comunicazione per compensare le loro difficoltà relazionali.

Entrambe le motivazioni correlano positivamente con un maggiore utilizzo del social network. (Ross et al. 2009; Correa et al. 2010). Il social network agisce come deterrente e via di fuga per persone che nella vita sociale reale sperimentano difficoltà di socializzazione, A causa di tratti del carattere come la timidezza o situazioni d’isolamento sociale, l’utilizzo delle nuove tecnologie e dei social network sembrano diventare una fonte privilegiata di emozioni e sensazioni appaganti e intense, seppure scaturite da dimensioni del tutto virtuali. (Caretti, La Barbera, 2005). Internet può rappresentare così un mezzo per fuggire dalla realtà quotidiana e rifugiarsi in un mondo illusorio e gratificante, in cui l’elemento virtuale permette di superare le difficoltà e le inibizioni che possono caratterizzare le interazioni reali. (Cantelmi et al., 2000).

Come afferma McKenna, il contatto sociale attraverso chat e community, può diventare un utile strumento per superare le difficoltà di comunicazione e di interazione faccia a faccia che si possono presentare nella vita quotidiana. (Amichai-Hamburger, McKenna, 2006). L’indagine condotta dall’associazione degli psicologi australiani evidenzia infatti, tra gli effetti positivi del social network, la presenza di maggiori contatti personali (meno isolamento) e relazioni interpersonali (meno solitudine). Nonostante vi sia anche un alto numero di esperienze negative on-line, la maggioranza degli intervistati non sembra intenzionato ad abbandonare i social network.

Analizzando la letteratura presente emerge come la fascia d’età maggiormente attratta dall’ utilizzo dei social network sia sicuramente quella relativa all’adolescenza. Una ricerca svolta nel 2008 realizzata dall’associazione Save the Children in collaborazione con il CREMIT ha indagato il significato che Internet assume per gli adolescenti e gli atteggiamenti adottati rispetto ai possibili rischi del mondo virtuale. Il risultato evidenzia come tra i ragazzi intervistati prevalga l’idea che Internet sia utile, facilmente gestibile e non particolarmente pericoloso, nonostante molti ammettano di aver assunto almeno una volta comportamenti trasgressivi e provocatori, o aver vissuto situazioni rischiose.

Ma i benefici e i vantaggi percepiti non vengono regalati gratuitamente. L’illusione di connettersi con il mondo attraverso le piattaforme dei social network può spingere le persone a trasformarsi in individui che si isolano dalla vita reale sostituendola con una socialità superficiale ed illusoria. (Marcucci, 2004).

È possibile riferirsi a due ipotesi esplicative per indagare la relazione tra la comunicazione che avviene attraverso i social network e il benessere psicologico che ne consegue, soprattutto riguardo l’età adolescenziale, la teoria del disimpegno e quella della stimolazione (Valkenburg e Peter, 2007), le quali illustrano una visione molto diversa delle conseguenze che l’ uso eccessivo delle nuove tecnologie può produrre.

La teoria del disimpegno sottolinea come la comunicazione on-line incida negativamente sul benessere psicologico, poiché sottrae tempo che potrebbe essere dedicato alle amicizie già esistenti riducendone la qualità. La tendenza dei ragazzi a intrattenere relazioni con sconosciuti, spesso di breve durata, non permetterebbe di impegnarsi in relazioni significative. A sostegno della teoria del disimpegno è possibile menzionare la ricerca internazionale denominata HomeNet (Kraut et al., 1998), che rileva come una maggiore permanenza in rete sia associata ad una diminuzione, modesta ma statisticamente significativa, delle attività sociali nella vita off-line quali la comunicazione all’interno della famiglia, il numero di amici frequentati nel tempo libero e un aumento di sentimenti depressivi e di solitudine. Kraut e colleghi (1998) propongono l’espressione Internet Paradox per evidenziare il fatto che questa tecnologia, anche quando utilizzata come strumento comunicativo, in realtà riduce il coinvolgimento sociale e il benessere psicologico di chi la usa, procurando un’alienazione dalla vita reale.

Ciò potrebbe essere spiegato prendendo in considerazione due aspetti: la permanenza in rete sottrae tempo che potrebbe essere impiegato in attività sociali, inoltre attraverso l’uso di Internet i ragazzi tendono a sostituire relazioni sociali significative con amicizia e deboli, poco impegnative e limitate nel tempo, che sebbene possano essere giudicate soddisfacenti in realtà non forniscono una reale supporto emotivo e tendono a creare isolamento dalla vita reale.

Alcune ricerche infatti (Morgan e Cotten, 2003) sottolineano come i ragazzi tendano a giudicare anche il miglior amico on-line come meno significativo e l’amicizia stessa come meno duratura nel tempo. Le amicizie virtuali tenderebbero a diventare emotivamente intense in un periodo di tempo troppo breve senza che vi sia sufficiente fiducia nel legame. La relativa anonimità dell’interazione on-line favorirebbe infine la tendenza dei soggetti a mentire, ad esprimere apertamente emozioni negative o a interrompere in modo brusco la comunicazione nel momento in cui si verifica un conflitto senza le preoccupazioni che tipicamente caratterizzano la comunicazione faccia a faccia. (Wolak, Smahel e Greenfield, 2003).

La teoria della stimolazione sottolinea, al contrario, come la comunicazione on-line permetta un arricchimento del contesto relazionale del soggetto e favorisca le opportunità di crescita e di adattamento al contesto. Recenti studi effettuati nel contesto italiano da Baiocco (2011) ritengono che in rete si tendano a costruire gli stessi contesti e a rapportarsi in modo simile a quanto si faccia nella vita off line con alcune possibilità in più: l’anonimato, la possibilità di discutere anche di questioni più intime con minor imbarazzo, la mancanza di informazioni relative al proprio aspetto fisico, all’età, al genere, all’appartenenza etnica o allo status sociale.

In rete sembrerebbe più facile svelare le parti più intime di sé: tale processo favorirebbe quindi un accudimento, gradimento e fiducia reciproca che a loro volta migliorerebbero le qualità dell’amicizia stessa. (Valkenburg e Peter, 2007). In Internet le amicizie fra ragazzi di sesso diverso sarebbero più solide e intimamente profonde di quelle nella vita non virtuale forse per il minore imbarazzo che si prova in riferimento alla connotazione sessuale della relazione e alla sua presentazione pubblica. Ricerche hanno anche dimostrato che i ragazzi con problemi di ansia sociale o comunque tendenzialmente soli, ritengono come maggiormente reali e intime le relazioni virtuali e sono in grado di integrare meglio la loro vita on-line con quella off line. (Couyoumdjian, Baiocco, Del Miglio, 2006).

Sono state proposte due ipotesi principali riguardo la relazione tra comportamento amicale nella vita off line e il contenuto e la qualità delle relazioni amicali in Internet. La prima asserisce che le competenze relazionali del soggetto nella vita off line forniscano il prototipo delle successive relazioni in rete, favorendo nel soggetto la conoscenza di sé, buone competenze sociali e una migliore regolazione emotiva. Una visione complementare suggerisce come, nel corso dello sviluppo, le abilità interattive vengano generalizzate alternativamente dalla vita off line a quella in rete. (Cheng, Chan e Tongs, 2006).

In definitiva, la letteratura presente permette di delineare come le nuove tecnologie, in particolar modo i social network, incidano sul nostro modo di pensare, sulle nostre pratiche quotidiane, sui nostri modelli relazionali e sulla nostra comunicazione.

La comunicazione e la socializzazione mediata dalla tecnologia interagiscono infatti in modo sinergico con la vita off line, in particolar modo per i giovani. I dati rilevati da Baiocco ci confermano come alcune volte l’utilizzo di questi mezzi di comunicazione comporti un risvolto positivo, mentre altre volte ciò può rivelarsi molto dannoso. Per questo motivo è opportuno chiedersi e valutare per quali ragazzi e in quali circostanze, Internet possa configurarsi come un contesto poco creativo o addirittura pericoloso e in quali altre circostanze possa configurarsi come un contesto altamente positivo.

La ricerca sembra suggerire che quei ragazzi già competenti a livello relazionale, con buoni livelli di autostima e capacità cognitive, riescano a massimizzare gli aspetti positivi dei social network: la rete interpretata come tecnologia sociale può essere uno strumento che funge da impalcatura per migliorare il modo in cui gestire relazioni, intrattenere discorsi, esprimere aspetti diversi di sé.

Ma, come afferma Kraut nelle sue ricerche, non si può non considerare che per le personalità più fragili questa barriera tra reale e virtuale sia ancora più sottile e confusa. Ultimamente si è dimostrato l’aumento di stati depressivi tra adolescenti utenti di social network. Gli individui che si sentono meno inseriti nella cerchia di coetanei e che vedono nei social un modo per riscattarsi socialmente potrebbero andar incontro ad un fallimento . La creazione di un nuovo profilo idealizzato porterà il soggetto ad una fittizia realizzazione sociale e ad una vera alienazione da quello che è il mondo reale.

Difatti le relazioni si creano velocemente anche con persone che nemmeno si conoscono, se non virtualmente, creando una sorta di socializzazione superficiale e degradante: non si arriva più ad un’intimità amicale raggiunta con il tempo con l’arricchimento d’ esperienze comuni, a meno che non si comunichi con amici che si frequentano nella realtà.

Concludendo, è ormai evidente che i social network siano diventati un elemento fondante e per certi versi irrinunciabile della comunicazione nella società moderna ma, come tutto quello che ci circonda, forse sarebbe il caso di maneggiarli con cura.